La Montagna dell'informazione - LA MONTAGNA DEL GRANO a Monghidoro

 


Tutti parlano sempre di ripopolare la montagna, che nel periodo della seconda metà del secolo scorso ha visto le persone più attive e giovani spostarsi in città alla ricerca del benessere, ma pochi hanno delle idee veramente utili alla bisogna.

Una eccezione è certamente rappresentata dal fornaio Matteo Calzolari (di Monghidoro, in provincia di Bologna), che ha convinto un gruppo di agricoltori del territorio ad abbandonare l’agricoltura convenzionale per dedicarsi alla coltivazione di varietà̀ di grano tradizionali, prendendosi cura della terra.

Questo progetto ha lo scopo di restituire valore economico, sociale e culturale alla montagna, che è sempre stata produttrice di frumenti di grande qualità, anche se questa attività veniva spesso abbandonata perché i costi erano inevitabilmente più alti che in pianura (ma anche i risultati sia sul piano nutrizionale, che su quello del gusto sono ben differenti!).


Il frutto di tanto impegno (foto di Francesca Pesciarelli per La Comunità Grano Alto)

A riprova della vocazione cerealicola dalla montagna bolognese basta notare come in particolare la zona di Monghidoro era un tempo caratterizzata dalla presenza di mulini ad acqua per la macinazione a pietra, anche se poi, a partire dalla seconda metà del ‘900 la maggior parte di essi venne abbandonata.

Grazie all’azione di Matteo, si è dunque costituita la Comunità Slow Food del Grano Alto, basata sul lavoro di 5 famiglie di agricoltori che coltivano con metodo biologico sementi originarie dei primi del Novecento, che non hanno subito modificazioni genetiche. Le coltivazioni del grano si estendono su una cinquantina di ettari, inseriti in un paesaggio boschivo che avvantaggia la biodiversità̀ ambientale e vengono alternate, secondo la rotazione delle colture, con legumi ed erba medica.

La granella viene macinata a pietra nel mulino in cui viene trasformata in farina integrale e semi-integrale, di tipo 1 o 2, senza subire processi di raffinazione. 


Carlo Foralossi nel suo mulino a pietra (foto di Francesca Pesciarelli per La Comunità Grano Alto)




Sentendo il nome “Grano Alto” ho chiesto la spiegazione di questa strana definizione: mi è stato risposta che la ragione era: primo perché si tratta di varietà che raggiungono anche un metro e mezzo d’altezza, secondo perché́ viene coltivato sopra i 400 m di altitudine e, infine, per l’alto valore etico del prodotto in quanto il prezzo del grano riconosciuto all’agricoltore non si basa sulla borsa alimentare bensì sul reale valore economico del lavoro dell’agricoltore. 

L’obiettivo della Comunità è di essere indipendente dalle oscillazioni del mercato, che in questo momento è condizionato dalle importazioni di grano e di fertilizzanti e dal prezzo del gasolio, potendo così autosostenersi, garantendo al tempo stesso la produzione di materie prime di qualità e la vita in un territorio di montagna. 

Gianluigi Pagano



.Slow Food Comunità del Grano dell’Alto Appennino tra Bologna e Firenze


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