Il cimbro, per me, è il latte. Intervista a Andrea Nicolussi Golo
Qual
è il tuo rapporto con la lingua madre?
La mia lingua madre è la sola che posso dire
conoscere perfettamente, l'italiano per me, sebbene negli anni l'abbia imparato
piuttosto bene, rimane pur sempre lingua seconda, imparata sui banchi di scuola
e come tale si porta appresso una lunga serie di costrizioni e orpelli che
invece non ci sono quando parlo cimbro. Mi verrebbe da dire che il cimbro è
sangue, ma forse non renderebbe quello che sento, preferisco dire che è latte,
latte materno appunto. Allargando un po' di più, potrei dire che la mia lingua
madre è cibo e sostentamento, proteina fondamentale nella costruzione delle
fibre del mio essere come sono.
La
lingua madre, nel tuo caso il cimbro, tiene traccia dei luoghi in cui viene
parlata e dei popoli che la parlano?
Naturalmente, niente come le lingue piccole
appartengono al territorio, ma proprio perché caratterizzate da una
appartenenza precisa non hanno territorio. Mi spiego meglio, non esiste un
luogo al mondo, dove il cimbro abbia una sua patria, huamat, dove sia davvero
la lingua ufficiale di una comunità, eppure quando lo si parla a Trento, a
Milano oppure a Stoccarda è come se quel piccolo posto sulla cima della
montagna si fosse trasferito e per magia fosse nato un piccolo territorio
cimbro. Così credo sia anche per le altre lingue piccole, io ho l'esperienza
dei pastori della Sardegna, quando sulle nostre montagne si ritrovavano la
Sardegna, meglio la Barbagia, aveva attraversato il mare assieme a loro.
Ci
sono vocaboli o forme verbali che risultano intraducibili in italiano? E che
tracce ha lasciato il cimbro nelle zone in cui è tuttora parlato, o è stato
parlato fino a pochi decenni fa?
Sono talmente tante le parole intraducibili o
meglio, traducibili solo con delle parafrasi più o meno lunghe, che ho dovuto
chiedere delle modifiche al programma informatico per la compilazione del nuovo
vocabolario della lingua cimbra. Abbiamo tantissimi verbi, uno ce l'ho proprio
qui sottomano adesso: bintn, che tradotto letteralmente sarebbe ventare,
naturalmente in italiano si direbbe il soffiare del vento, ma in cimbro assume
una caratteristica precisa cioè: il soffiare del vento sulla neve che produce accumuli…questo è reso semplicemente con il verbo bintn è meraviglioso... Un altro che
mi piace molto è eaparn che
significa lo sciogliersi della neve, non sono riuscito a trovare un verbo in
italiano che gli corrisponda, sino a quando, poco tempo fa, rileggendo Fenoglio
ho scoperto snevare
ma credo lo
abbia usato solo lui, forse pescandolo da una sua lingua madre. A Luserna per
fortuna il cimbro è ancora una buona strada di montagna e non una traccia,
altrove è vero, ormai vi sono solo delle tracce nei toponimi nei cognomi, ma a
volte poche tracce bastano per individuare un sentiero che, battuto
quotidianamente potrà forse diventare uno stretto tratturo, percorribile da
sempre più persone.
Il
tuo lavoro di promozione e conservazione dell'identità cimbra all'istituto
culturale di Luserna come si articola? Quali sono le prospettive future della
conservazione della cultura cimbra?
Mah, il mio lavoro e quello dei miei colleghi
all'Istituto Cimbro Luserna è piuttosto vario. Ci si occupa di comunicazione
con un telegiornale settimanale in lingua cimbra e altre trasmissioni
televisive in onda su TML la televisione delle minoranze linguistiche.
Personalmente mi occupo di scrittura, due volte al mese il quotidiano l'Adige
ospita Di Sait vo Lusérn, una pagina in lingua cimbra , il mio lavoro più grande in questi ultimi due anni è stato
quello di costruire il nuovo vocabolario della lingua cimbra, un lavoro davvero
enorme con circa seimila lemmi cimbri al netto di tutti i prestiti non integrati.
Ma per tutti noi il lavoro più importante è quello di riuscire a dare il
massimo di dignità alla lingua in modo che diventi appetibile per le nuove
generazioni, se i bambini smettono di parlarla ogni sforzo diventa inutile,
inutile tenere corsi per insegnare il cimbro, come faccio io se poi in famiglia
ci si dimentica di parlarlo. Siccome non possiamo entrare dentro le famiglie
cerchiamo di rendere la nostra lingua qualcosa di importante cosicché i
genitori siano invogliati ad insegnarlo ai figli. Per ora sembra che l'impegno
di tutti stia dando dei buoni frutti, credo che il punto più basso sia già
stato toccato negli anni ottanta dello scorso secolo e adesso non si può che
risalire. Ogni anno, da quando è stato istituito con legge provinciale, ci sono
molte persone iscritte all'esame per ottenere il patentino di conoscenza della
lingua propria cimbra.
Che
senso ha per te tutelare e promuovere una lingua locale, a torto detta
"minoritaria", in un mondo in cui le stesse lingue nazionali tendono
a scomparire a favore di una unica lingua di interscambio mondiale?
Il senso è quello di conservare una
appartenenza, preferisco questo termine ad un altro forse abusato: identità,
nel quale non mi riconosco. La lingua madre non è solo un insieme di parole
diverse da quelle che tutto il mondo sembra voler usare, ma un è un mondo
diverso, un mondo fatto di comprensione e accoglienza, proprio perché chi per
secoli ha subito esclusioni di ogni sorta oggi
è pronto ad accogliere ogni diversità: diversità linguistica, religiosa,
culturale, di genere, etnica (non bisogna temere questa parola se si è pronti
ad accogliere). Ecco allora che portare avanti una lingua e una cultura piccola
è strumento per disinnescare le tante tensioni che attraversano il mondo oggi,
dove tutti vogliono parlare la stessa "non lingua inglese" ma sono
pronti a seminare odio in ogni momento. Amare le proprie radici significa
amare, bada bene Amare, non solo rispettare, ma amare le radici e le culture
degli altri, amare è qualcosa di profondamente diverso da quell'orribile verbo
che spesso si è usato e ancora troppo spesso si usa nei confronti di chi non ci
assomiglia: tollerare. Io non voglio tollerare nessuno e non voglio che nessuno
mi tolleri, io voglio essere me stesso e che anche gli altri lo possano essere
liberamente. Appartenere ad una comunità piccola non significa affatto
chiudersi in una piccola patria ma immaginare che il mondo sia fatto ad
immagine e somiglianza della tua terra dove tutti sono minoranza e dove per
logica non esista una maggioranza per sua natura prevaricatrice, anche quando
crede di portare agli altri progresso e democrazia.
Parlaci
un po' delle tue opere in lingua cimbra: cosa porterai al festival sabato 31
agosto?
Io scrivo in cimbro ormai da vari anni. Nel
2009 e nel 2010 ho tenuto dei laboratori linguistici presso l'Università di
Trento sostenuti dalla regione Trentino Alto Adige - Sudtirol, in quella
occasione per esercizio ho proposto ai partecipanti di tradurre alcune pagine
di quello che ritengo il romanzo cimbro per eccellenza benché scritto in
italiano: Storia di Tönle, del mai dimenticato Mario Rigoni Stern. Naturalmente
mi sono accorto subito che una traduzione non poteva essere un lavoro di
gruppo, tradurre significa entrare nel romanzo, nella scrittura, riscrivere il
romanzo con una sensibilità che deve avvicinarsi il più possibile all'autore,
ma che inevitabilmente non può essere la stessa. Così per la devozione che ho
nei confronti del grande scrittore di Asiago ho pensato di tradurre Storia di
Tönle ed è stata un'esperienza bellissima, perché ad ogni riga sentivo di
ridare la propria voce ai protagonisti del romanzo che erano cimbri e parlavano
cimbro. Mi sono accostato al testo con grande timore e rispetto, cercando di
fare più del mio meglio, arrivando e riscriverlo ben otto volte. Sono arrivato ad un corto circuito
linguistico. Scrive Rigoni Stern: "Il medico salì le scale e si accostò al
letto, si fece avvicinare la lanterna. Sentì il polso, poi il cuore posando
l'orecchio contro il petto asciutto, le guardò gli occhi accostando di più il
lume; la fece sedere sul letto e ancora bussò e ascolto il torace e la
schiena: Non sentite dolore? - chiese.
Ho solo freddo e un po' di debolezza, -
rispose.
Che dice?- Domandò il dottore che era giovane e
non conosceva la nostra lingua. E Tönle tradusse". Ecco il paradosso era che io stavo proprio
scrivendo le stesse parole che la moglie morente di Tönle stava pronunciando in
quella lingua che il giovane medico non comprendeva. Erano le parole che
abbiamo sentito tutti dai nostri vecchi alla fine della loro vita, parole che
sino all'ultimo negavano la gravità e consolavano gli astanti: " I hån lai
a pizzle vrost un höarme asó debl". Comunque la si voglia pensare sul
cimbro sul mio lavoro io ho avuto la fortuna mentre scrivevo quelle parole di
sentire le lacrime che premevano per uscire e tutte le generazioni della mia
gente contadina affollarsi per consolarle. Un po' di questa emozione spero di
portare Tra le Rocce e il Cielo. Il testo è stato pubblicato dall'ufficio
Minoranze linguistiche della Provincia di Trento che ringrazio di cuore come
ringrazio in modo davvero speciale la casa Editrice Einaudi e la famiglia
Rigoni Stern che mi hanno concesso gratuitamente i diritti, il biografo di
Mario Rigni Stern che mi ha aiutato moltissimo e ha scritto un bellissima
prefazione Giuseppe Mendicino e Ermenegildo Bidese che ha lavorato con me ed ha scritto
l'introduzione al testo.
Grazie e un abbraccio affettuoso e Fiorenza e Mario
Andrea
Nicolussi Golo collaboratore dell’Istituto culturale cimbro di Luserna,
scrittore e traduttore in cimbro di Rigoni Sterne sarà al Festival Tra le Rocce
e il cielo. Sabato 31 agosto parteciperà
al convegno LE PAROLE DEL CUORE, Lingue
e appartenenza nella letteratura delle Minoranze. Specialisti di linguistica ed
organizzatori di premi letterari sul tema della scrittura in lingua madre. In
collaborazione con il concorso Mendranzes-n-poejia, e con il Premio Ostana,
scritture in lingua madre
Riccardo Rella
riccardo_rella@yahoo.it
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