Il SottoSalone a Padova
Al di là di
ogni considerazione di carattere storico,artistico,culturale e sociale
il Palazzo della Ragione ha sempre fatto leva sulla fantasia popolare
per la mole imponente e per l’ampiezza della sala pensile considerata la
più grande d’Europa. Un complesso architettonicamente geniale tanto da
essere definito “ll monumento più monumento di Padova" o semplicemente
"Il monumento di Padova”.
Come avviene per le opere che destano meraviglia per la loro
singolarità,anche per il nostro palazzo non manca il sottile aggancio
con il misterioso Oriente. Si narra che i padovani avendovisto il
modello del tetto di un grandioso palazzo indiano portato da fra’
Giovanni Eremitano al termine dei suoi viaggi, abbiano deciso che anche
il loro palazzo fosse coperto nello stesso modo. Da una consimile
leggenda non potè sottrarsi un’altra costruzione-capolavoro del nostro
territorio,Il palazzo-castello detto Cataio che la tradizione vuole
essere stato costruito in base alle descrizioni lasciate da Marco Polo
sul palazzo imperiale di Pechino. Leggende suggestive, non suffragate da
testimonianze certe, ma che rivelano come il popolo sia spesso
affascinato dalle meraviglie dell’arte. Anche il grande esploratore
inglese Bichard Burton, lo scopritore dei laghi equatoriali africani,
non sfuggì a questa malìa orientale. Al termine della sua carriera,
nelle vesti di console inglese a Trieste se ne venne a Padova per
visitare i luoghi e le memorie di Giovanni Battista Belzoni del quale
aveva sentito parlare con grande ammirazione da alcuni vecchi indigeni
del Benin dove il Belzoni era morto nel 1823. Orbene il Burton dopo
avere descritto il Salone come elemento divisorio delle due Piazze delle
Frutta e delle Erbe, lo definì completamente fuori posto perché
realizzato secondo " un’idea architettonica derivata da un palazzo indù
“.
Il popolo ha sempre amato il Salone come una creatura propria, e
giustamente, essendo il simbolo della libertà che il popolo stesso con
le sue leggi ha saputo conquistarsi, così come la basilica del Santo,
voluta dal popolo negli stessi anni in cui nasceva il Salone, è il
simbolo della spiritualità e della fede della città. Da sette secoli i
padovani gli si stringono attorno per averne sicurezza e prosperità.
Nelle ore mattutine il Salone raccoglie come madre amorosa i padovani
per nutrirli, saziarli, rallegrarli. Essi giungono da ogni parte della
città percorrendo le strette strade, una decina, che sfociano nelle due
piazze.In questo contatto Padova svela la sua vocazione commerciale,
mette a nudo un secolare filone rimasto intatto e non corroso dai tempi e
dalla smania di rifare.In questa attività mattutina si rinnovano i riti
antichi, cioè la vendita di quegli stessi prodotti offerti nelle epoche
comunale, signorile e del dominio veneziano: il pane e il vino, la
carne, le uova e il pesce, la frutta e la verdura e quindi le scarpe, i
tessuti, i gioielli, i fiori. Riti ordinati secondo le regole delle
fraglie e delle corporazioni con i prezzi e le misure indicati dai
calmieri. Padova, così spesso distruggitrice di sacre memorie, non ha
mai infranto questo flusso vitale che promana dal Salone, uno dei pochi
elementi di tradizione vitalizzato dal popolo e dal popolo
conservato. Anche il dialetto rifiorisce in questo abbraccio mattutino
in cui si mescolano le parlate dei borghi e della periferia e ancora,
rimasti miracolosamente vivi, gli accenti ruzantiani provenienti dal
contado. Fra la moltitudine eterogenea e vociante si captano battute
ironiche e divertenti, dialoghi briosi e arguti, si riciclano sapide
frasi degli antichi padri. Una cultura del popolo ancora vitale
circoscritta nelle due piazze ad oriente delle quali due istituzioni
calamitavano l’interesse dei frequentatori perché destina te alla
sopravvivenza primaria dell’uomo: la Camatta in Piazza della Frutta dove
si vendeva quel famoso pane diventato proverbiale "Chi va due volte
alla Camatta, non si può più partir da Padova” e che fu cantato dal
Ruzante e dal Dottori; il Fondaco delle biade in Piazza delle Erbe
ovverossia il deposito dei cereali per il fabbisogno della cittadinanza.
Sembra
incredibile ai giorno d’oggi constatare quanti o quali prodotti si
vendessero Sotto il Salone e nelle due piazze che costituivano un
centro commerciale fra i più antichi e grandi d’Europa.
L’installazione di negozi a pianoterra e nell’ ammezzato del palazzo
anticipò addirittura i mercati coperti e i supermercati dei tempi
moderni con le botteghe per la vendita di prodotti pregiati: oggetti di
oreficeria, pellicce, stoffe di zendalo e broccato, scarpe, vestiti
raffinati, materiale scrittorio. ll cuore del mercato era nella Piazza
delle Frutta (nei primi tempi chiamata Piazza del Peronio per il mercato
dei perones, un prodotto largamente venduto, le scarpe) dove erano
attivi i mercati dell’olio, dei formaggi, dei salumi, della selvaggina,
del pesce d’acqua dolce, delle uova, del pollame, delle verdure (poi
passato nell’altra piazza), delle mercerie e degli uccelli di pregio:
quest’ultimo mercato era così caratteristico e radicato nel popolo da
dare addirittura il nome, come s’e visto, alla scala orientale, di cui
ancora oggi perpetua il nome un esercizio pubblico sito proprio in quel
luogo (Bar dei osei). La piazza era talmente frequentata da una
clientela assidua ed eterogenea da indurre il Comune ad aprirvi un
ritrovo pubblico “ad ludum” vale a dire una casa da gioco forse gestita
dal Comune stesso.
Nella
Piazza delle Erbe, a sua volta, era prospero il mercato ha della carne
con la “Casa dei macellai” sede della società ma anche punto di vendita.
E ancora erano frequentati i mercati del pesce, delle calzature, dei
panni, delle sciarpe di seta e di lana, delle crusche, dei legumi, del
frumento e delle biade essendovi ad oriente, come s’è detto, il Fondaco
delle biade; ad occidente animatissimo era il mercato del vino che
addirittura diede il nome ad una scala, anzi la stessa piazza
inizialmente si chiamava “Piazza del vin”.Per quanto riguarda le
botteghe allineate al pianoterra e nell’ammezzato del Salone è probabile
che esse abbiano suggerito la prima idea non solo del mercato coperto ma anche della fiera moderna
davvero emblematico che il Salone diventasse parte importante della 1a
Fiera Campionaria d’Italia, nel 1919, quando gli imprenditori padovani
diedero l'avvio al rifiorire dell’economia nazionale fra le macerie di
una città lacerata dalla guerra a sei mesi dall’armistizio e prima
ancora che fosse sancita la pace con l’Austria. La Sala della Ragione
ospito in quell’occasione ben nove sezioni legate a vari settori
industriali e con l’ala sinistra del vecchio Foro Boario in Prato della
Valle e la Scuola di disegno Pietro Selvatico, costituì una delle tre
sedi di cui si componeva la Fiera Campionaria.
La fine della dominazione ezzelina -durata 1237 al 1256 - permise ai
Padovani di riprendere il loro autonomo cammino politico, iniziato
nell’ultimo quarto del secolo precedente, e di presentarsi nel Trecento
forti di un illuminato Comune. Padova infatti ritornò a primeggiare in
questo periodo, fra i centri maggiori della Padania, per il suo saggio
governo e per la sua prosperità economica. Lo stesso volto edilizio
urbano riportò benefici dalla rinnovata situazione; infatti molti
fabbricati sorsero, all’interno della sua cinta muraria, proprio
nell’arco di tempo compreso tra il 1260 ed il principio del secolo
successivo. Non a caso, quindi, nel 1306 anche il suo possente Palazzo
della Ragione (“Salone”), sorto nel 1218-1219 poco prima della
fondazione dell’Universita ( 1222 ) e dell’inizio della costruzione
della chiesa del Santo (1235 ca. ) fu sensibilmente rialzato e
completato con le logge laterali qualche anno più tardi. Tale
edificio rimane pertanto come il simbolo più evidente dell’alta civiltà
raggiunta nel basso Medioevo dalla popolazione padovana, allora in
gran parte dedita con energia ed intelligenza ai traffici commerciali,
alla tessitura, all’arte della conceria, all’edilizia, ai trasporti
fluviali e all’industria molitoria. A queste solide attività si univano
contemporaneamente anche quelle più semplici, ma più diffuse,
riguardanti la continua fornitura di alimentari, di vestiario e delle
tante cose necessarie al vivere quotidiano. Le operazioni commerciali
per soddisfare le suddette esigenze avvenivano in gran parte, fin dal
Duecento, nei mercati posti nelle piazze attorno al “Salone”, che non
decaddero minimamente nel secolo successivo,allorquanto la città fu più
volte scossa da avvenimenti bellici e da epidemie.
Padovani
e stranieri, studiosi o semplici curiosi per prima cosa notano del
Salone, come popolarmente e generalmente viene chiamato, la
mastodontica struttura. Il grande poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe,
acuto osservatore e annotatore delle emozioni che i viaggi gli sapevano
suscitare, diede del Salone una definizione penetrante ed emblematica:
la sala e talmente grande che difficilmente si arriva ad immaginaria
anche dopo averla appena vista. Un grand’uomo padovano, Giovanni
Battista Belzoni, con ancora negli occhi la visione dei grandi templi di
Karnak e di Abu Simbel, scrivendo nel l8l9 da Alessandria d’Egitto
alle autorità padovane, suggeriva di collocare le due statue egizie da
lui donate alla città natale nel “Gran Salone di Padova”, una struttura
dunque degna dei maestosi monumenti faraonici.
Questo mercato era nel Medioevo la testimonianza più viva dell’autosufficienza di Padova
e i prodotti che giungevano dal territorio costituivano la ricchezza di
cui la città poteva disporre e andare fiera. Quanto più la campagna era
fertile e ben curata tanto più la città era destinata a prosperare e a
rafforzare la propria vocazione mercantile.
La vita cittadina ha sempre ruotato
attorno al Salone ai cui lati quattro scaloni gli conferiscono una
particolare solennità. Tre di essi si appellano a prodotti della natura:
scala delle erbe e scala degli uccelli rispettivamente a occidente e ad
oriente di Piazza delle Frutta, scala del vino a occidente di Piazza
delle Erbe cui si contrappone a oriente la scala del ferro o dei
ferraiuoli, cosi chiamata per il mercato del ferro che ivi si teneva.
E cosi ancora pulsanti e
pittoreschi,questi mercati( talvolta variati,ridotti o aumentati) dopo
il lungo cammino plurisecolare sono giunti ai giorni nostri,pronti a
proiettarsi, più che mai vitali, verso il futuro.
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