La Battaglia del Solstizio



















La Battaglia del solstizio fu combattuta nel giugno 1918 dal Regio Esercito Italiano da una parte e dall'Imperial Regio esercito dall'altra. Fu l'ultima grande offensiva sferrata dagli austriaci nel corso della prima guerra mondiale e si spense davanti alla valorosa resistenza dei soldati italiani. Il nome "battaglia del solstizio" fu ideato dal poeta Gabriele D'Annunzio, lo stesso che poco dopo, il 9 agosto 1918, con 11 aeroplani Ansaldo sorvolerà Vienna gettando dal cielo migliaia di manifestini, inneggianti alla vittoria italiana.

La tentata offensiva austro-ungarica

Nel 1918 gli austriaci pianificarono una massiccia offensiva sul fronte italiano, da sferrare all'inizio dell'estate, in giugno.
A causa delle loro gravi difficoltà di approvvigionamento, volevano infatti raggiungere la fertile pianura padana, sino al Po, e soprattutto, in un momento di grave difficoltà interna dell'Impero per il protrarsi della guerra, gli Austro-ungarici intendevano dare al conflitto una svolta decisiva, che permettesse un completo sfondamento del fronte italiano, come era già avvenuto con l'offensiva di Caporetto, e consentisse quindi di liberare forze da concentrare in un secondo momento sul fronte franco-tedesco.
L'offensiva fu preparata quindi con grande cura e larghezza di mezzi dagli austriaci che vi impegnarono ben 66 divisioni, ed erano talmente sicuri del successo, che avevano persino preparato in anticipo i timbri ad inchiostro da usare nelle zone italiane da occupare.

La risposta italiana

Gli italiani conoscevano in anticipo i piani del nemico, comprese la data e l'ora dell'attacco, tanto che nella zona del Monte Grappa e dell'Altopiano dei Sette Comuni i colpi di cannone delle artiglierie italiane anticiparono l'attacco degli austriaci, lasciandoli disorientati. Le artiglierie del Regio Esercito, appena dopo la mezzanotte, per quasi cinque ore spararono decine di migliaia di proiettili di grosso calibro, tanto che gli alpini che salivano a piedi sul Monte Grappa videro l'intero fronte illuminato a giorno sino al mare Adriatico. Ai primi contrattacchi italiani sul Monte Grappa, molti soldati austriaci abbandonarono i fucili e scapparono, tanto che i gendarmi riuscirono a bloccare i fuggitivi solamente nella piana di Villach.

La battaglia

La mattina del 15 giugno 1918, gli austriaci arrivando da Pieve di Soligo-Falzè di Piave, riuscirono a conquistare il Montello e il paese di Nervesa. La loro avanzata continuò successivamente sino a Bavaria (sulla direttiva per Arcade), ma furono fermati dalla possente controffensiva italiana, supportata dall'artiglieria francese, mentre le truppe francesi erano stazionate ad Arcade, pronte ad intervenire, in caso di bisogno. Il Servizio Aeronautico italiano mitragliava il nemico volando a bassa quota per rallentare l'avanzata. Colpito da un cecchino austriaco moriva il magg. Francesco Baracca, asso dell'aviazione italiana.In realtà la morte del pilota avvenne per mano di un aviatore austriaco, ma a causa dell'inesperienza e delle nuvole presenti in zona l'aviatore che volava su un altro aereo in pattuglia con Baracca il fatto rimase pressoché sconosciuto (o forse fu volutamente nascosto) agli italiani per decine di anni hanno così creduto all'abbattimento per vile fucilata, addirittura circolò la voce che costretto all'atterraggio preferì suicidarsi , solo recentemente sono stati resi pubblici i registri dell'aviazione asburgica che proverebbero l'abbattimento.
Le passerelle gettate sul Piave dagli austriaci il 15 giugno 1918 vennero bombardate incessantemente dall'alto e ciò comportò un rallentamento nelle forniture di armi e viveri. Ciò costrinse gli austriaci sulla difensiva e dopo una settimana di combattimenti, in cui gli italiani cominciavano ad avere il sopravvento, i nemici decisero di ritirarsi oltre il Piave, da dove erano inizialmente partiti. Centinaia di soldati morirono affogati di notte, nel tentativo di riattraversare il fiume in piena. Nelle ore successive alla ritirata austriaca, il re Vittorio Emanuele III visitava Nervesa liberata e completamente distrutta dai colpi di artiglieria. Ingenti i danni alle antiche ville sul Montello e al patrimonio artistico della zona. Stessa cosa per Spresiano: completamente distrutta. Gli austro-ungarici nella loro avanzata arrivarono sino al cimitero di Spresiano, ma l'artiglieria italiana che sparava da Visnadello e i contrattacchi della fanteria italiana riuscirono a bloccarli.
Le truppe austro-ungariche attraversarono il Piave anche in altre zone. Conquistarono pure le Grave di Papadopoli ma si dovettero successivamente ritirare. A Ponte di Piave percorsero la direttrice ferroviaria Portogruaro-Treviso, dopo alcune settimane di lotta, nella zona di Fagarè, vennero ricacciate dagli arditi italiani. Passarono il Piave anche a Candelù, da Salgareda raggiunsero Zenson e Fossalta, ma la loro offensiva si spense in pochi giorni.
Il 19 giugno 1918 nella frazione di San Pietro Novello presso Monastier di Treviso il VII Lancieri di Milano comandato dal generale conte Gino Augusti, contiene e respinge l'avanzata delle truppe austro-ungariche infiltrate oltre le linee del Piave infliggendo loro una sconfitta decisiva nell'economia della Battaglia del Solstizio. L'operazione militare passerà alla storia come la "Carica di San Pietro Novello": il reggimento di Cavalleria pur in inferiorità di uomini e mezzi riuscì nell'impresa, combattendo anche appiedato ain un corpo a corpo alla baionetta.
La mattina dell'attacco, sino dalle ore 4.00, dal suo posto di osservazione posto in cima ad un campanile di Oderzo, il comandante delle truppe austriache, il feldmaresciallo Boroevic, osservava l'effetto dei proiettili oltre Piave. Le prime granate lacrimogene ed asfissianti ottenevano pochi risultati, grazie alle maschere a gas "inglesi" usate dagli italiani. Durante la Battaglia del Solstizio gli Austriaci spararono 200mila granate lacrimogene ed asfissianti. Sul fronte del Piave, quasi 6.000 cannoni austriaci sparavano sino a S.Biagio di Callalta e Lancenigo. Diversi proiettili da 750 kg di peso, sparati da un cannone su rotaia, nascosto a Gorgo al Monticano, arrivarono fino a 30 km di distanza, colpendo Treviso. Dall'altra parte del fronte, i contadini portavano secchi d'acqua agli artiglieri italiani per raffreddare le bocche da fuoco dei cannoni, che martellavano incessantemente le avanguardie del nemico e le passerelle poste sul fiume, per traghettare materiali e truppe. Il bombardamento delle passerelle fu determinante, in quanto agli austriaci vennero a mancare i rifornimenti, tanto da rendere difficile la loro permanenza oltre Piave.
Nel frattempo gli italiani, alla foce del fiume, avevano allagato il territorio di Caposile, per impedire agli austriaci ogni tentativo di avanzata. Dal fiume Sile i cannoni di grosso calibro della Marina Italiana, caricati su chiatte, che si spostavano in continuazione per non essere individuati, tenevano occupato il nemico da San Donà di Piave a Cavazuccherina (Jesolo).
Il punto di massima avanzata degli austriaci, convinti di arrivare presto a Treviso, fu a Fagarè, sulla provinciale Oderzo-Treviso. Gli Arditi o truppe d'assalto, forti della fama che li accompagnava, ricacciarono gli austriaci sulla riva del Piave da cui erano venuti. Non facevano prigionieri e andavano all'attacco con il pugnale tra i denti, tanto che la loro presenza terrorizzava il nemico. La testa di ponte di Fagarè sulla direttiva Ponte di Piave-Treviso fu l'ultimo lembo sulla destra del Piave a cadere in mano italiana.

Conseguenze della vittoria italiana

La tentata offensiva austriaca si tramutò quindi in una pesantissima disfatta: tra morti, feriti e prigionieri gli austro-ungarici persero quasi 150.000 uomini. La battaglia fu tuttavia violentissima e anche le perdite italiane ammontarono a circa 90.000 uomini.
Il generale croato Borojevic, comandante delle truppe austriache del settore e fautore dell'offensiva, capì che ormai l'Italia aveva superato la disfatta di Caporetto. Infatti, non solo si esauriva la spinta militare dell'Austria, ma apparivano anche i primi segnali di scontento tra la popolazione civile austriaca, per la scarsità di cibo. Gli "Alleati dell'Intesa" avevano isolato per mare gli Imperi Centrali e la penuria di risorse si faceva sentire.
In tale situazione la battaglia del Solstizio era l'ultima possibilità per gli austriaci di volgere a proprio favore le sorti della guerra, ma il suo fallimento, con un bilancio così pesante e nelle disastrose condizioni socio-economiche in cui versava l'Impero, significò in pratica l'inizio della fine. Dalla battaglia del Solstizio, infatti, trascorsero solo quattro mesi prima della vittoria finale dell'Italia a Vittorio Veneto.

Ricorrenza e sacrari della battaglia

La ricorrenza della battaglia viene ricordata ogni anno il 15 giugno e celebrata come la festa dell'Artiglieria.
A Fagarè della Battaglia, sulla provinciale Oderzo-Treviso, c'è l'Ossario dei caduti della Grande Guerra. Fu edificato nel punto in cui gli austriaci raggiunsero la massima avanzata. Ai lati dell'Ossario sono stati trasportati i muri su cui figurano alcune celebri scritte, opera probabilmente dei propagandisti di guerra, come "Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati" e "Meglio un giorno da leone che 100 da pecora".
A Nervesa si trova l'Ossario ai caduti italiani sul Montello, con piccolo museo storico annesso. Verso Pederobba, sulla strada che porta a Feltre si trova invece quello francese. A Tezze di Piave si trova il cimitero militare britannico e nel tempio votivo di Ponte della Priula, ci sono i resti di diversi soldati trovati anche di recente, sul greto del Piave.
Vanno ricordati, oltre ai combattenti francesi, statunitensi e britannici, anche quei soldati cecoslovacchi che passarono dalla parte dell'esercito italiano. Essendo costoro cittadini dell'Impero austro-ungarico, se catturati venivano giustiziati, in quanto considerati traditori della patria. Sul viale alberato che portava da Conegliano a S. Vendemiano, ne vennero impiccati a decine.

La presenza di Ernest Hemingway

Proprio in quel periodo si trovava nella zona di Fossalta il futuro premio Nobel per la letteratura Ernest Hemingway, allora diciottenne, che si era arruolato volontario con la Croce Rossa degli Stati Uniti e prestava servizio in zona come autista di autoambulanze.
Ferito dalle schegge di una bomba e da un proiettile di mitragliatrice, sarà poi decorato con la medaglia d'argento per essersi prodigato, anche dopo essere stato colpito, nel salvataggio di altri militari feriti. Da questa personale esperienza e dal successivo ricovero in un ospedale milanese trarrà il suo celebre romanzo "Addio alle Armi".
Nel Sacrario di Fagarè, fra i tanti militari sepolti, vi è l'unico statunitense, un tenente amico di Hemingway, caduto in battaglia lungo il Piave, a cui lo scrittore dedicò una poesia, riportata sulla lapide ancora oggi visibile.

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